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Rumi Story

Dopo il termine della Seconda Guerra Mondiale tra le aziende che si sono trovate a dover riconvertire le loro strutture produttive per passare dal campo militare a quello civile vi era la Fonderie e Officine Rumi. Il settore individuato per la rinascita postbellica era quello delle due ruote e per un caso fortunato la moto giusta era già quasi pronta. Al Salone di Milano del 1949 aveva destato viva impressione l’Amisa 125 progettata da Pietro Vassena. Da un lato dunque c’era chi cercava una moto adatta da produrre e dall’altro chi aveva bisogno di una azienda in grado di industrializzare un interessante progetto. Il fatto che Donnino Rumi conoscesse da tempo Vassena ha agevolato le cose e ben presto la Amisa si è trasformata nella Rumi 125.Dopo una serie di adeguamenti e di modifiche, il primo esemplare è uscito dallo stabilimento di Bergamo nell’aprile del 1950. Era una bella moto a due tempi nella quale spiccavano svariate soluzioni tecniche di grande interesse, alcune delle quali assolutamente uniche nel panorama mondiale. Tanto per cominciare, il motore aveva due cilindri paralleli e all’epoca questo era pressoché inusitato per una 125. Inoltre la frizione era collocata alla estremità destra dell’albero a gomiti, soluzione decisamente assai rara per una moto italiana. Particolarmente avanzata era la scelta di realizzare un basamento che si “apriva” secondo un piano orizzontale. Si trattava di uno schema molto razionale per i motori con più di due cilindri paralleli, che però sarebbe stato adottato diffusamente solo svariati anni dopo. I due cilindri in ghisa erano orizzontali e, diversamente da quanto stavano facendo ormai quasi tutti i costruttori di motori a due tempi, i pistoni non erano a cielo piano, ma del tipo con deflettore, in questo caso conformato a V. L’albero a gomiti composito poggiava su tre supporti di banco e aveva le manovelle a 180°.

L’intero articolo a pag. 46 di Motitalia

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